I
“Fu
Thurneysen che a quattr’occhi e a mezza voce mi sussurrò la frase
chiave: - per la predicazione, l’istruzione e la cura pastorale ci
occorre una fondazione teologica totalmente diversa”- .1
La
svolta auspicata dall’amico fraterno, giunse. In modo subitaneo
nella volontà e nell’impegno2,
ma realizzata, nella pratica, nel corso di qualche anno. Il nuovo
“ABC teologico” fu appreso in una rilettura esegetica
serrata dell’Antico e del Nuovo Testamento; l’enzima che fece da
catalizzatore fu il libro che per eccellenza nella storia della
Chiesa, aveva rappresentato la guida verso il rinnovamento: la parola
antica e tremendamente attuale dell’epistola ai Romani.
La
svolta fu un distacco, una vera e propria inversione di rotta,
rispetto alla teologia allora definita “moderna” e dominante. La
teologia liberale, alla cui fonte Barth aveva abbondantemente attinto
negli anni della sua formazione accademica, aveva conosciuto un
termine d’arresto: accodandosi alla presunta processione trionfale,
e poi catastrofica, della politica bellicista dell’Impero tedesco,
essa aveva dimostrato la sua accettazione non-critica dello spirito
del tempo. Colei che si proclamava scientifica era divenuta serva
della cultura e dello spirito politico a lei contemporanei. Il
giovane Barth vede in tutto ciò il fallimento del progetto teologico
liberale. Doveva essere ricompreso quale fosse e in cosa consistesse
il vero centro della teologia. “L’essenza del Cristianesimo”,
per usare un espressione harnackiana, risuona nella sentenza
fulminante “Dio è in cielo e tu sulla terra.” Novello
Kierkegaard, schierato contro il Sistema, Barth trova nella totale
alterità di Dio, nella Sua assoluta libertà e nell’azione dello
Spirito di Dio, vero fautore della contemporaneità tra parola e uomo
che ascolta, il centro da cui ricominciare il discorso teologico
(volendo portare avanti il paragone kierkegaardiano, un discorso che
non avviene per sintesi, ma nella dialettica). Non solo. In tutto
ciò, infatti, egli trova la critica al socialismo (Paolo è ancora
più radicale, ancora più rivoluzionario) e la critica alla
religione (intesa come sforzo, o esperienza umana, che cerca di
innalzarsi verso Dio e in cui l’uomo ricade su se stesso).
“La
presenza di Dio, infatti, è altresì quella di un partner libero
dell’uomo in una storia messa in moto da Lui stesso e in un dialogo
aperto e controllato dalla sua iniziativa”.3
La
diastasi, l’infinita differenza qualitativa, il totaliter alter,
la metafora del punto matematico e della tangente nella quale essi si
sfiorano soltanto, sono tutte espressioni che in modo significativo
il teologo svizzero elabora e propone con grande forza evocativa al
fine di comunicare sia la violenza del distacco rispetto al suo
passato prossimo, sia la grande novità teologica, con le sue
implicazioni.
Questa
svolta fu il passaggio affascinante (una sorta di contemplazione del
Behemot e del Leviathan) e necessario per determinare che “proprio
la divinità di Dio, ben compresa, include la sua umanità”.4
II
Un
trasloco, “sulla collina a ovest di Basilea […] in una casa
sostanzialmente più piccola, e perciò più moderna e accogliente,
dalla quale non ci possono scacciare perché è di mia proprietà”.5
E dentro quella casa, una stanzetta che funge da comodo studio. Una
scrivania, sulla quale pende una copia della Crocifissione di
Matthias Grunenwald. Infine libri, fino al soffitto e, ovviamente,
l’immancabile letteratura mozartiana.
Questa
scena, a prima vista domestica e retrò, si presta ad essere una
metafora interessante del cambiamento avvenuto nel paradigma della
teologia barthiana. Il teologo, per sua stessa ammissione, visse il
trasloco di cui si accennava prima, come un profetico passaggio dal
vecchio al nuovo cosmo6
e, similmente accadde che molti iniziarono a vivere il “vecchio”
e ormai settantenne Barth, come un “nuovo Barth”.
In
realtà il “principio cristologico” della conferenza del
25 Settembre 1956, non era nulla di nuovo rispetto a quanto detto
nella Dogmatica; era piuttosto una sorta di sintesi di quanto
maturato dal teologo stesso nel corso della sua esistenza come uomo
di fede e come teologo:
“E’
però vero che io nel frattempo ho imparato qualcosa. Si spera che
sia così! Non è forse vero che si rimane giovani, pur invecchiando,
se si continua e non ci si stanca di imparare (in questo caso:
studiare teologia!). […] Dopo di allora penso di aver imparato a
parlare meglio di Dio Creatore in modo che l’uomo, in quanto sua
creatura, non venga oscurato ma messo in luce nel rapporto che a lui
lo lega. Oggi penso di potermi esprimere meglio sul fatto che,
proprio in virtù della potenza della libera e della sovrana grazia
di Dio, esiste anche un’autentica libertà dei figli di Dio. Oggi,
penso di comprendere e di poter onorare meglio di quanto mi fosse
concesso allora, la saggia sapienza di Dio, ma anche l’opera
accogliente e rinnovante della sua parola e del suo spirito nell’uomo
e nell’umanità.7
Nella
seconda parte della conferenza si ha l’enunciazione del nucleo
teologico soggiacente la “seconda svolta”. In essa avviene il
superamento del totaliter alter assolutizzato,
il cuore della diastasi tra Dio e uomo, necessaria a Barth per
ricatturare una visione esegetico-teologica della materia biblica, in
opposizione alla visione critico-scientifica della teologia liberale.
E’ il modello Cristologico calcedonese delle due nature unite in
una persona che consente a Barth di mantenere sempre una separazione
tra Dio e uomo (mantenendo così inalterato il tema della “prima
svolta” ed escludendo sia l’approccio della teologia negativa sia
quello della sintesi) ma, al contempo, di far risaltare un’opera di
mediazione tra Dio e l’uomo che egli stesso esprime in questo modo
affascinante:
“Il
fatto che Egli parli, dia, comandi, viene nell’esistenza di Gesù
Cristo, assolutamente prima; che l’uomo oda, riceva, ubbidisca, ciò
può solamente conseguire a quel primum. La libertà dell’uomo è,
in Gesù Cristo, totalmente inclusa nella libertà di Dio. Senza
abbassamento di Dio non si verrebbe ad alcun innalzamento dell’uomo.
In quanto Figlio di Dio, e non altrimenti, Gesù Cristo è anche
figlio dell’uomo.”8
Se
volessimo tornare alla metafora iniziale dello studio del teologo
svizzero, dovremmo aggiungere un particolare che descrive
ulteriormente l’atmosfera teologica del sempre giovane settantenne:
“Ci
sono certamente poche stanze da studio di teologi, nelle quali i
ritratti di Calvino e di Mozart si possano vedere accostati alla
stessa altezza”9.
Il rigore della tradizione riformata e la giocosità profana del
classicismo musicale, come simboli di un annuncio di fede fatto al
mondo e alla Chiesa: “Dio è umano”.
III
8
gennaio 1957, Hannover. Barth tiene una conferenza all’interno di
una serie più ampia di conferenze promosse dalla Società goethiana
sulla Teologia Evangelica nel XIX secolo. Invece di criticare
violentemente il passato, egli non oppone un deciso no a quella
stagione teologica. Fermo restando che la sua intenzione era quella
di non farsi condizionare dallo spirito del secolo, e quindi quella
di continuare a porre domande e quesiti, ora Barth poteva anche
valutare positivamente le istanze, la “particula veri” di
quella teologia. Ciò non per sentimentalismo, ma perché egli non
desiderava più considerare la teologia come pura e semplice dottrina
di Dio, quanto piuttosto vederla come una teantropologia, cioè
la dottrina del rapporto e della profonda comunione tra Dio e la sua
creatura.10
Già
in questa conferenza, che precede di pochi mesi quella di Hannover,
si enunciano in modo ampio alcune conseguenze gravide di significato
per quanto ulteriormente apparirà nella Dogmatica.
In
particolare:
- La dignità di ciascun essere umano: “Noi dobbiamo considerare e trattare ciascun essere umano, anche il più diverso da noi, anche il più abietto o il più misero, sulla base del seguente presupposto: a motivo dell’eterna volontà di Dio, Gesù Cristo è anche suo fratello. Dio stesso è anche suo padre.”11L’uomo, inoltre, risulta essere l’eletto al rapporto con Dio e, come tale, pur nei suoi limiti, dotato di una sua specificità e di sue capacità. La cultura umana, che è il tipico operare umano (tentativo dell’uomo di essere uomo), benché spesso connotata di risvolti che fanno risaltare il carattere non buono o addirittura mostruoso della creatura, può diventare, con l’assenso di Dio, una efficace parabola della volontà divina stessa.
- Il traffico (incessante) tra Dio e l’uomo come parola della teologia: nella scelta da parte di Dio di “tagliare un’alleanza” con l’uomo, l’uomo stesso si trova a essere incluso in una relazione in cui Dio è partner libero e vuole essere per e con l’uomo. La teologia deve mostrare che dogmatica, etica, predicazione, istruzione e cura d’anime consistono, senza deviare, ma proseguendo in linea retta, nella esplicitazione del rapporto di Dio con l’uomo, nel quale poi è incluso il rapporto dell’uomo con Dio.
- Il linguaggio della teologia: in conformità al suo oggetto, la teologia è dialogo. Teologia come preghiera nel dialogo con Dio. Teologia come annuncio (kerygma) riguardante l’uomo (ogni uomo!) in modo tale da suscitare in lui un passaggio significativo da semplice interessato a inte-ressato. Un linguaggio che non sia preoccupato delle categorie del “colui che sta fuori” e “colui che sta dentro”. Un linguaggio invece che sia veicolo della novità (Dio è umano, appunto) che è vera sia per chi riceve l’annuncio sia per chi annuncia.
- Un tono fondamentalmente positivo: secondo l’osservazione dell’Iwand, amico stretto di Barth, i due cerchi della rivelazione speciale e della rivelazione generale, non solo condividono lo stesso centro, ma anche lo stesso raggio. Fuor di metafora, Barth comprendere l’umanità di Dio come una proclamazione positiva che, pur non rinunciando a parlare della condizione dell’uomo nella sua trasgressione (Il “no” di Dio all’uomo), afferma con ancora più forza che l’uomo è l’essere che Dio ha amato, ama e amerà.12La quarta conseguenza tocca il discorso delicato della apocatastasis panton, su cui Barth lascia aperta la dimensione del paradosso e della non disponibilità di risposte certe da parte dell’uomo. Solo una cosa appare certa: non è dato alcun diritto teologico di porre, da parte nostra, qualsivoglia limite alla benignità di Dio verso gli uomini, che si è manifestata in Gesù Cristo.13
- La Chiesa come evento e luogo della presenza di Dio: la Chiesa, considerata da Barth inizialmente in maniera critica (“umana, troppo umana”, bissando così le parole di Nietzsche), ritorna ad essere vista, alla luce dell’umanità di Dio, come corpo, come uno strumento funzionale alla salvezza, come luogo dove risuona la parola della predicazione e dell’annuncio della “novità” del Dio che è umano. Essa è destinata e chiamata a portare nel mondo quella “poca conoscenza” che ha della grazia di Dio rivelata in Gesù Cristo; tale conoscenza, essendo legata allo Spirito Santo, risulta invincibile. Essa è il luogo dove l’umanità è vissuta nella co-umanità. Essa è il luogo dove Dio vuole abitare e dimorare; infatti “qui si riconosce l’umanità di Dio, si gioisce di essa, la si celebra e le si dà testimonianza.”14 La chiesa dunque testimonia di un fatto che non può contenere in sé (la chiamata di Dio è rivolta a ogni essere umano); al contempo, essa è il luogo dove l’umanità di Dio vuole assumere, già nel tempo e qui sulla terra, una forma tangibile. 15
Come
la parola della Chiesa non è altro che la parola che Dio le ha
rivolto, e questa parola è Cristo stesso, così anche il teologo
termina con una parola, anzi l’ultima parola:
L’ultima
parola che io come teologo ho da dire, non è un concetto come
grazia, ma un nome: Gesù Cristo. Egli è la grazia, ed egli è
l’ultimum, al di là del mondo e della chiesa e anche della
teologia…16
Bibliografia
Karl
Barth, Biografia – Eberhard Busch, Queriniana
L’umanità
di Dio, L’attualità del messaggio Cristiano – Karl Barth,
Claudiana
La
teologia del Novecento – Fulvio Ferrario, Carrocci Ed.
1
Karl Barth, Nachwort, 295; citato in E. Busch, Karl Barth – Biografia, Queriniana.
2
“Subita conversione” l’espressione scelta da Barth e
riecheggiante l’espressione di Giovanni Calvino con la quale egli
definì la sua adesione alla Riforma.
3 Karl Barth, L’umanità di Dio, pag. 18, Claudiana.
4
Id., pag. 23.
5
Lettera a Paul Van Buren, 18 novembre 1955.
6
Lettera ai figli del 10 Ottobre 1955.
7
Discorso a Lambeth Palace del Luglio 1956.
8
L’umanità di Dio, pag. 25.
9
TA VIII, 209, Karl Barth.
10 Karl Barth, La teologia protestante nel XIX secolo, Jaca Book.
11 Karl Barth, L’umanità di Dio, pag. 29, Claudiana.
12
Id. pag. 34.
13
Id. pag. 36.
14
Id. pag. 38.
15
Id. pag. 38.
16
Letzte Zeugnisse , 30
sono veramente impressionato dalla profondità con cui riesci sempre ad affrontare questi argomenti e dalla precisione che ci metti, viste anche le note che riporti... bravissimo!!!
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