Sermone
– Domenica di Exaudi, 12 Maggio, 2003
Guardare
attraverso l'orizzonte
Giovanni
14, 1-19
Il
vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio, e abbiate fede
anche in me[...]
Se
voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il
Padre ed egli vi darà un altro Paracleto perché rimanga con voi per
sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere
perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli
rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò
da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi
vedrete, perché io vivo e voi vivrete.
Il credente è un viandante spirituale che cammina nel mondo presente verso il mondo futuro e nuovo di Dio; tutta la sua vita nei suoi vari aspetti è in tensione costante verso questa direzione, mosso non dalla ricerca di una buona e tranquillante sistemazione per sè [...] non da un proprio interesse per una salvezza ultraterrena, che non sarebbe altro che una riproduzione metafisica dell'amore verso sè stesso, ma dalla ricerca e dall'amore del Dio che l'evangelo gli ha rivelato. (V. Subilia - Solus Christus)
Cari
fratelli e sorelle,
la
parola che abbiamo letto questa mattina e che ci accingiamo a
commentare è inattuale e attuale al contempo.
E’
inattuale
per la nostra mente moderna, perché siamo abituati a vedere i nostri
propri problemi in un’ottica esclusivista e a trattarli come
assolutamente nuovi e unici; inoltre, essa è inattuale
perché sembra dotata di una certa tensione nel suo richiedere
all’uomo, spaventato e preoccupato per la condizione in cui versa,
di non avere paura.
Essa
è anche una parola attuale,
perché è indirizzata al centro dell’esistenza umana, un'
esistenza che si gioca spesso tra le aspettative per un domani
migliore, la sete di certezze e di conferme utili alla vita e al suo
mantenimento, e, in più, tra la paura e l’ansia che colgono l’uomo
quando affronta lo smarrimento o percepisce intorno a sé la
precarietà delle cose e dell’esistenza.
Eppure
proprio questa parola,
giunge oggi a noi, così come giunse ai discepoli che la udirono.
In
questa sezione del Vangelo di Giovanni, chiamata con un certo
consenso dai commentatori “il
Libro della gloria”
(dove con ciò si sottolinea la glorificazione di Cristo nella sua
morte sulla croce e nella sua risurrezione dai morti) siamo
all’esordio dei vari discorsi di commiato che Gesù avrebbe
pronunciato nella cerchia dei suoi discepoli (cap. 13-17) prima di
affrontare la sua crocifissione.
Nella
narrazione giovannea viene premessa, prima della sezione specifica
dei discorsi, la narrazione di quanto accadde durante l’ultima
cena: dopo il celebre episodio della lavanda dei piedi, il clima, già
per altro non sereno, viene caricato ulteriormente dal peso di
domande e pensieri angosciosi, dall’annuncio del tradimento di
Giuda, dall’annuncio del prossimo rinnegamento di Pietro e, sopra
ogni cosa, dalla premura con cui Gesù cerca di fare capire ai
discepoli stessi la sua prossima dipartita: “Figlioli
è per poco che sono ancora con voi” (cfr.
Giov. 13, 33)
Proprio
a termine di tali eventi ci viene detto, seguendo la narrazione
evangelica, che Gesù esordisce con alcune parole di incoraggiamento:
Il
vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio, e abbiate fede
anche in me (Giov.
14,1)
A
fronte della sua imminente morte sulla croce, Gesù cerca di
riportare i propri discepoli a una visione intinta nella speranza e
nella fiducia, insistendo sul fatto che c’è una differenza
sostanziale e decisiva tra la percezione che l’uomo ha delle cose e
la percezione delle cose che Dio ha.
Il
Vangelo di Giovanni ci presenta tali istanti come un momento, per i
discepoli, di confusione, d’incomprensione, di smarrimento e di
paura, fino al punto di diventare un momento di defezione, di
abbandono, di perdita della speranza, quella stessa speranza
“messianica” che sembrava aver mosso per qualche tempo gli animi
di queste persone. Di fronte alla realtà dei fatti, alla durezza di
quanto, di lì a poco, sarebbe accaduto, la parola di Gesù è tanto
paradossale per i
discepoli quanto lo è oggi per noi, che viviamo un’uguale perdita
di speranza, di certezza; per noi che sperimentiamo il senso di
solitudine o di abbandono; per noi che avevamo riposto fiducia in
questo o quel movimento politico affinché risolvesse o quanto meno
tamponasse i problemi del nostro paese; per noi che vorremmo vedere
una chiesa non solo fedele a una vocazione di povertà o di
semplicità o una chiesa sempre tendente al passato (le origini e i
gloriosi ritorni) e priva di presente, ma soprattutto una chiesa che
sappia annunciare all’uomo moderno quella Parola che la mantiene in
vita ed è vita anche per il mondo e che sappia vivere di quella
Parola e in quella Parola, con grazia e aderenza.
In
una situazione di smarrimento personale e collettivo, risuona appunto
questa sentenza: abbiate
fede in Dio, e abbiate fede anche in me.
Perché
paradossale? Perché
chi può trovare in sé stesso questa fede così intensa da
trascendere e vedere oltre i fatti stessi che non solo costellano la
nostra vita, ma, a leggere un qualsiasi giornale, costellano la vita
di tanti altri esseri umani, nostri contemporanei? Chi può,
scoprirsi così visionario e così perseverante da continuare a
credere e di conseguenza ad agire, contro le evidenze stesse della
quotidianità, che si oppongono a un qualsiasi atto di ottimismo?
Gesù,
in questo incipit del suo primo discorso di commiato, che prelude a
un momento della Sua storia e della storia dei discepoli, che si
sarebbe rivelata piena di dolore e di drammaticità, non chiede un
vago ottimismo in un futuro migliore (“sorridi,
domani è un altro giorno”)
o un pensiero utopistico: semplicemente, fonda Egli stesso la
possibilità della fede e dell'azione nel mondo, non in uno sforzo
umano (o sovra-umano), bensì nel Suo darsi, Lui Figlio di Dio, come
uomo e Dio agli uomini.
“Abbiate
fede in Dio, e abbiate fede anche in me”:
cioè, lì dove vi trovate, in questa condizione specifica, in questo
momento della storia dove voi non siete in controllo, dove potenze
più grandi sembrano scuotervi, dove persino Dio stesso sembra abbia
dimenticato il mondo e i suoi abitanti, voi alzate lo sguardo da voi
stessi, cercate non la soluzione del problema in un orizzonte
prospettico limitato, che guarda all’immediato e al circostante,
ma guardate all'orizzonte del Padre e al Mio orizzonte.
A
proposito di prospettive, è interessante notare che linguisticamente
parlando, la parola speranza, in indonesiano, si esprime con un
termine che alla lettera significa: “guardare
attraverso l’orizzonte”.
Guardare attraverso l’orizzonte, significa appunto, avere
fede/fiducia in Dio e imparare a sperare nella Sua azione.
I
moderni critici di ogni approccio che coinvolge la fede potrebbero,
in modo canzonatorio, dire: “la
solita soluzione fideistica, che guarda a un mondo futuro, a qualcosa
di utopico, a un sogno; insomma, la solita fuga dalla realtà”.
La
Parola di Dio, Gesù Cristo stesso, oppone a questa visione, la
realtà della sua presenza nel mondo e la realtà della presenza di
Dio nel mondo.
Guadare
attraverso l’orizzonte con Dio, significa comprendere perché
l’invito a non aver paura è una possibilità concreta, vera, anche
se certo non dimostrabile positivamente o scientificamente.
Qualche
battuta più in là, nel nostro testo, Gesù spiega alcuni aspetti
della Sua opera, dell’opera del Padre e dell’opera dello Spirito
Santo, che altro non sono che l’esplicitazione del perché i
discepoli possono prendere coraggio, possono vivere la speranza e
possono guardare avanti per cogliere oltre l’orizzonte degli
eventi, l’evento nuovo, la nuova creazione che inizia in Cristo e
si protende verso il mondo futuro di Dio.
Gesù
parla delle sue opere, le quali sono appunto segni, cioè indicatori
che testimoniano di un Dio all’azione nella storia: certo non per
sconvolgere o distruggere, per fare effetti speciali, ma piuttosto
per annunciare e mettere in moto un processo inesorabile che
coinvolge questo mondo e i suoi abitanti. Dalla profezia antica al
momento del pronunciamento di queste parole di Gesù, dalla
ascensione di Gesù al periodo della Sua attesa, così come anche
testimoniato dal libro che conclude il Nuovo Testamento, la voce di
Dio risuona nel suo annunciare: “Ecco
io faccio ogni cosa nuova”.
I miracoli/segni, le guarigioni, le parole di perdono a persone
emarginate o dalla vita rovinata, lo scacciare i demoni, le lotte
contro l’ambiente religioso del tempo (Farisei e Sadducei),
l’annuncio della grazia, il vedere persino negli uccelli del cielo
e nei gigli del campo la mano di Dio, sono l’annuncio della
presenza concreta di Dio
nella storia dell’uomo;
la proclamazione di un ribaltamento di valori sociali e culturali
imperanti nella società umana, che la mano misericordiosa di Dio
opera per stabilire i valori di un Regno in cui giustizia, pace,
perdono, misericordia, comunione sono le parole d’ordine.
“Il
Regno dei cieli è vicino”,
così si apre il Vangelo più antico: cioè, Gesù Cristo è qui, e
Dio è presente qui in Lui; i valori del Regno dei Cieli non si
compiranno un giorno, ma sono già all'opera e camminano verso il
loro compimento.
L’opera
che Gesù stava per terminare e completare sulla croce, era il
culmine dell’atto di rivelazione di Dio attraverso cui Dio stesso
si sarebbe definitivamente manifestato come Colui che è a favore
dell’uomo, Colui che è presente, Colui che, usando il linguaggio
giuridico paolino e poi fatto proprio dai nostri Riformatori,
giustifica il peccatore, lo riconcilia a sé, lo trasforma, lo
rinnova, gli dona un nuovo inizio e la piena e gratuita comunione con
Lui.
Gesù
inoltre, parla ai discepoli (e a noi)
di una preghiera che Egli stesso rivolge al Padre,
affinché giunga un altro
Consolatore, cioè
un altro che sebbene differente per le modalità della sua presenza,
non fisica ma spirituale, sarà uno come Lui nella sua azione di
stare con i discepoli (e con noi), di proteggere i discepoli, di
intervenire a loro favore, di essere a loro fianco e al contempo di
annunciare la grazia e l’amore di Dio al mondo, con la stessa
efficacia di un vento che soffia dove vuole e con la stessa
impossibilità di disporre di questo vento, di fermarlo, gestirlo o
inscatolarlo in recinti religiosi, politici o semplicemente umani.
Infine
Gesù, continua a mostrare il fondamento di questa fiducia che
sconfigge la paura, aggiungendo un’ulteriore parola di speranza:
Ancora
un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io
vivo e voi vivrete.
La
croce ci parla dell’amore di Dio, gratuito, libero e incondizionato
nei confronti dell’uomo, ma esso si completa nella risurrezione di
Cristo, dove a seguito di essa, nel periodo che segue all'Ascensione,
discende l' ulteriore dono dello Spirito Santo.
E’
grazie allo Spirito Santo che Dio cammina ora con il suo popolo ed
agisce nel mondo; è grazie allo Spirito Santo che si realizza nel
credente quel mistero così pieno di luce e radioso che è la discesa
del Padre e del Figlio nel cuore dell’uomo, è grazie allo Spirito
Santo che si crea quel legame che nessuno può spezzare e che ci lega
a Dio, è grazie allo Spirito Santo che possiamo camminare nel mondo
e “vedere”, se non fisicamente, almeno con una vista che va oltre
l’orizzonte l’azione del Padre e del Figlio nel mondo, è grazie
allo Spirito Santo che siamo inseriti nella comunione con il Dio
Trinitario e, infine, è grazie alla sua azione che riceviamo quanto
promesso da Gesù stesso: vita - perché
io vivo e voi vivrete.
Ecco
dunque che la richiesta così paradossale per le nostri menti a una
prima analisi, ci viene chiarificata secondo queste direzione: la
nostra fiducia in Dio non è un gesto di ottimismo
esercitato
dalle nostre coscienze, ma una risposta a qualcosa già offertoci da
Dio stesso. La nostra fiducia e di conseguenza la nostra azione nel
mondo, si basano sul donarsi di Dio a noi in Cristo; sulla sua
promessa di fare ogni cosa nuova, annunciata agli uomini di fede
dell’antichità e portata avanti con determinazione nella storia
dell’uomo, fino ad arrivare all’evento culminante della morte e
risurrezione di Cristo; la nostra fiducia si basa sulla conseguenza
della preghiera di Cristo al Padre, ovvero la discesa dello Spirito
Santo; e, in ultima analisi, la nostra fiducia si basa sull’azione
corale e determinata del Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo nel
mondo e in noi.
Essa
è, da un punto di vista neotestamentario, la sola azione che ci
rende capaci di attraversare l’orizzonte degli eventi del nostro
mondo, con la forza della speranza, radicata in Dio e nella Sua
storia.
Così,
chi fa propria questa fiducia in Dio e in Cristo, vero antidoto alla
paura, non chiude gli occhi di fronte alle notizie tetre del mondo,
non si abbandona al ripiegamento su se stessi, o alla fuga, non fa
della proiezione verso un paradiso lontano la scusa religiosa per
nascondere la propria mancanza di fede, ma segue le orme di Cristo in
questo mondo: egli/ella cerca non solo di vivere nel qui e ora
l’osservanza del comandamento d’amore di Cristo (cfr. Giov.
14,15) ma si libera del peso di vivere per se stesso, diventa un
piccolo granello di frumento che cade nel suolo, e, insieme ai suoi
fratelli e sorelle, che formano la chiesa universale di Cristo, nel
coraggio della fiducia in Dio, contraddice la realtà, con atti di
speranza, seminando e cercando di far vedere anche agli altri, quello
che lui/lei vede oltre l’orizzonte: la presenza del luminoso futuro
di Dio, il sogno di Dio per l’uomo, per cui Egli ha dato tutto,
fino a dare Suo Figlio Gesù Cristo per noi.