martedì 14 maggio 2013

Guardare attraverso l'orizzonte



Sermone – Domenica di Exaudi, 12 Maggio, 2003

Guardare attraverso l'orizzonte

Giovanni 14, 1-19

Il vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me[...]
Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paracleto perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete.

Il credente è un viandante spirituale che cammina nel mondo presente verso il mondo futuro e nuovo di Dio; tutta la sua vita nei suoi vari aspetti è in tensione costante verso questa direzione, mosso non dalla ricerca di una buona e tranquillante sistemazione per sè [...] non da un proprio interesse per una salvezza ultraterrena, che non sarebbe altro che una riproduzione metafisica dell'amore verso sè stesso, ma dalla ricerca e dall'amore del Dio che l'evangelo gli ha rivelato. (V. Subilia - Solus Christus)

Cari fratelli e sorelle,

la parola che abbiamo letto questa mattina e che ci accingiamo a commentare è inattuale e attuale al contempo.
E’ inattuale per la nostra mente moderna, perché siamo abituati a vedere i nostri propri problemi in un’ottica esclusivista e a trattarli come assolutamente nuovi e unici; inoltre, essa è inattuale perché sembra dotata di una certa tensione nel suo richiedere all’uomo, spaventato e preoccupato per la condizione in cui versa, di non avere paura.

Essa è anche una parola attuale, perché è indirizzata al centro dell’esistenza umana, un' esistenza che si gioca spesso tra le aspettative per un domani migliore, la sete di certezze e di conferme utili alla vita e al suo mantenimento, e, in più, tra la paura e l’ansia che colgono l’uomo quando affronta lo smarrimento o percepisce intorno a sé la precarietà delle cose e dell’esistenza.

Eppure proprio questa parola, giunge oggi a noi, così come giunse ai discepoli che la udirono.

In questa sezione del Vangelo di Giovanni, chiamata con un certo consenso dai commentatori “il Libro della gloria” (dove con ciò si sottolinea la glorificazione di Cristo nella sua morte sulla croce e nella sua risurrezione dai morti) siamo all’esordio dei vari discorsi di commiato che Gesù avrebbe pronunciato nella cerchia dei suoi discepoli (cap. 13-17) prima di affrontare la sua crocifissione.
Nella narrazione giovannea viene premessa, prima della sezione specifica dei discorsi, la narrazione di quanto accadde durante l’ultima cena: dopo il celebre episodio della lavanda dei piedi, il clima, già per altro non sereno, viene caricato ulteriormente dal peso di domande e pensieri angosciosi, dall’annuncio del tradimento di Giuda, dall’annuncio del prossimo rinnegamento di Pietro e, sopra ogni cosa, dalla premura con cui Gesù cerca di fare capire ai discepoli stessi la sua prossima dipartita: “Figlioli è per poco che sono ancora con voi” (cfr. Giov. 13, 33)

Proprio a termine di tali eventi ci viene detto, seguendo la narrazione evangelica, che Gesù esordisce con alcune parole di incoraggiamento:

Il vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me (Giov. 14,1)

A fronte della sua imminente morte sulla croce, Gesù cerca di riportare i propri discepoli a una visione intinta nella speranza e nella fiducia, insistendo sul fatto che c’è una differenza sostanziale e decisiva tra la percezione che l’uomo ha delle cose e la percezione delle cose che Dio ha.

Il Vangelo di Giovanni ci presenta tali istanti come un momento, per i discepoli, di confusione, d’incomprensione, di smarrimento e di paura, fino al punto di diventare un momento di defezione, di abbandono, di perdita della speranza, quella stessa speranza “messianica” che sembrava aver mosso per qualche tempo gli animi di queste persone. Di fronte alla realtà dei fatti, alla durezza di quanto, di lì a poco, sarebbe accaduto, la parola di Gesù è tanto paradossale per i discepoli quanto lo è oggi per noi, che viviamo un’uguale perdita di speranza, di certezza; per noi che sperimentiamo il senso di solitudine o di abbandono; per noi che avevamo riposto fiducia in questo o quel movimento politico affinché risolvesse o quanto meno tamponasse i problemi del nostro paese; per noi che vorremmo vedere una chiesa non solo fedele a una vocazione di povertà o di semplicità o una chiesa sempre tendente al passato (le origini e i gloriosi ritorni) e priva di presente, ma soprattutto una chiesa che sappia annunciare all’uomo moderno quella Parola che la mantiene in vita ed è vita anche per il mondo e che sappia vivere di quella Parola e in quella Parola, con grazia e aderenza.

In una situazione di smarrimento personale e collettivo, risuona appunto questa sentenza: abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me.

Perché paradossale? Perché chi può trovare in sé stesso questa fede così intensa da trascendere e vedere oltre i fatti stessi che non solo costellano la nostra vita, ma, a leggere un qualsiasi giornale, costellano la vita di tanti altri esseri umani, nostri contemporanei? Chi può, scoprirsi così visionario e così perseverante da continuare a credere e di conseguenza ad agire, contro le evidenze stesse della quotidianità, che si oppongono a un qualsiasi atto di ottimismo?

Gesù, in questo incipit del suo primo discorso di commiato, che prelude a un momento della Sua storia e della storia dei discepoli, che si sarebbe rivelata piena di dolore e di drammaticità, non chiede un vago ottimismo in un futuro migliore (“sorridi, domani è un altro giorno”) o un pensiero utopistico: semplicemente, fonda Egli stesso la possibilità della fede e dell'azione nel mondo, non in uno sforzo umano (o sovra-umano), bensì nel Suo darsi, Lui Figlio di Dio, come uomo e Dio agli uomini.

Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me”: cioè, lì dove vi trovate, in questa condizione specifica, in questo momento della storia dove voi non siete in controllo, dove potenze più grandi sembrano scuotervi, dove persino Dio stesso sembra abbia dimenticato il mondo e i suoi abitanti, voi alzate lo sguardo da voi stessi, cercate non la soluzione del problema in un orizzonte prospettico limitato, che guarda all’immediato e al circostante, ma guardate all'orizzonte del Padre e al Mio orizzonte.

A proposito di prospettive, è interessante notare che linguisticamente parlando, la parola speranza, in indonesiano, si esprime con un termine che alla lettera significa: “guardare attraverso l’orizzonte”. Guardare attraverso l’orizzonte, significa appunto, avere fede/fiducia in Dio e imparare a sperare nella Sua azione.
I moderni critici di ogni approccio che coinvolge la fede potrebbero, in modo canzonatorio, dire: “la solita soluzione fideistica, che guarda a un mondo futuro, a qualcosa di utopico, a un sogno; insomma, la solita fuga dalla realtà”.
La Parola di Dio, Gesù Cristo stesso, oppone a questa visione, la realtà della sua presenza nel mondo e la realtà della presenza di Dio nel mondo.
Guadare attraverso l’orizzonte con Dio, significa comprendere perché l’invito a non aver paura è una possibilità concreta, vera, anche se certo non dimostrabile positivamente o scientificamente.

Qualche battuta più in là, nel nostro testo, Gesù spiega alcuni aspetti della Sua opera, dell’opera del Padre e dell’opera dello Spirito Santo, che altro non sono che l’esplicitazione del perché i discepoli possono prendere coraggio, possono vivere la speranza e possono guardare avanti per cogliere oltre l’orizzonte degli eventi, l’evento nuovo, la nuova creazione che inizia in Cristo e si protende verso il mondo futuro di Dio.

Gesù parla delle sue opere, le quali sono appunto segni, cioè indicatori che testimoniano di un Dio all’azione nella storia: certo non per sconvolgere o distruggere, per fare effetti speciali, ma piuttosto per annunciare e mettere in moto un processo inesorabile che coinvolge questo mondo e i suoi abitanti. Dalla profezia antica al momento del pronunciamento di queste parole di Gesù, dalla ascensione di Gesù al periodo della Sua attesa, così come anche testimoniato dal libro che conclude il Nuovo Testamento, la voce di Dio risuona nel suo annunciare: “Ecco io faccio ogni cosa nuova”. I miracoli/segni, le guarigioni, le parole di perdono a persone emarginate o dalla vita rovinata, lo scacciare i demoni, le lotte contro l’ambiente religioso del tempo (Farisei e Sadducei), l’annuncio della grazia, il vedere persino negli uccelli del cielo e nei gigli del campo la mano di Dio, sono l’annuncio della presenza concreta di Dio nella storia dell’uomo; la proclamazione di un ribaltamento di valori sociali e culturali imperanti nella società umana, che la mano misericordiosa di Dio opera per stabilire i valori di un Regno in cui giustizia, pace, perdono, misericordia, comunione sono le parole d’ordine.
Il Regno dei cieli è vicino”, così si apre il Vangelo più antico: cioè, Gesù Cristo è qui, e Dio è presente qui in Lui; i valori del Regno dei Cieli non si compiranno un giorno, ma sono già all'opera e camminano verso il loro compimento.
L’opera che Gesù stava per terminare e completare sulla croce, era il culmine dell’atto di rivelazione di Dio attraverso cui Dio stesso si sarebbe definitivamente manifestato come Colui che è a favore dell’uomo, Colui che è presente, Colui che, usando il linguaggio giuridico paolino e poi fatto proprio dai nostri Riformatori, giustifica il peccatore, lo riconcilia a sé, lo trasforma, lo rinnova, gli dona un nuovo inizio e la piena e gratuita comunione con Lui.

Gesù inoltre, parla ai discepoli (e a noi) di una preghiera che Egli stesso rivolge al Padre, affinché giunga un altro Consolatore, cioè un altro che sebbene differente per le modalità della sua presenza, non fisica ma spirituale, sarà uno come Lui nella sua azione di stare con i discepoli (e con noi), di proteggere i discepoli, di intervenire a loro favore, di essere a loro fianco e al contempo di annunciare la grazia e l’amore di Dio al mondo, con la stessa efficacia di un vento che soffia dove vuole e con la stessa impossibilità di disporre di questo vento, di fermarlo, gestirlo o inscatolarlo in recinti religiosi, politici o semplicemente umani.

Infine Gesù, continua a mostrare il fondamento di questa fiducia che sconfigge la paura, aggiungendo un’ulteriore parola di speranza:
Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete.
La croce ci parla dell’amore di Dio, gratuito, libero e incondizionato nei confronti dell’uomo, ma esso si completa nella risurrezione di Cristo, dove a seguito di essa, nel periodo che segue all'Ascensione, discende l' ulteriore dono dello Spirito Santo.
E’ grazie allo Spirito Santo che Dio cammina ora con il suo popolo ed agisce nel mondo; è grazie allo Spirito Santo che si realizza nel credente quel mistero così pieno di luce e radioso che è la discesa del Padre e del Figlio nel cuore dell’uomo, è grazie allo Spirito Santo che si crea quel legame che nessuno può spezzare e che ci lega a Dio, è grazie allo Spirito Santo che possiamo camminare nel mondo e “vedere”, se non fisicamente, almeno con una vista che va oltre l’orizzonte l’azione del Padre e del Figlio nel mondo, è grazie allo Spirito Santo che siamo inseriti nella comunione con il Dio Trinitario e, infine, è grazie alla sua azione che riceviamo quanto promesso da Gesù stesso: vita - perché io vivo e voi vivrete.

Ecco dunque che la richiesta così paradossale per le nostri menti a una prima analisi, ci viene chiarificata secondo queste direzione: la nostra fiducia in Dio non è un gesto di ottimismo esercitato dalle nostre coscienze, ma una risposta a qualcosa già offertoci da Dio stesso. La nostra fiducia e di conseguenza la nostra azione nel mondo, si basano sul donarsi di Dio a noi in Cristo; sulla sua promessa di fare ogni cosa nuova, annunciata agli uomini di fede dell’antichità e portata avanti con determinazione nella storia dell’uomo, fino ad arrivare all’evento culminante della morte e risurrezione di Cristo; la nostra fiducia si basa sulla conseguenza della preghiera di Cristo al Padre, ovvero la discesa dello Spirito Santo; e, in ultima analisi, la nostra fiducia si basa sull’azione corale e determinata del Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo nel mondo e in noi.
Essa è, da un punto di vista neotestamentario, la sola azione che ci rende capaci di attraversare l’orizzonte degli eventi del nostro mondo, con la forza della speranza, radicata in Dio e nella Sua storia.

Così, chi fa propria questa fiducia in Dio e in Cristo, vero antidoto alla paura, non chiude gli occhi di fronte alle notizie tetre del mondo, non si abbandona al ripiegamento su se stessi, o alla fuga, non fa della proiezione verso un paradiso lontano la scusa religiosa per nascondere la propria mancanza di fede, ma segue le orme di Cristo in questo mondo: egli/ella cerca non solo di vivere nel qui e ora l’osservanza del comandamento d’amore di Cristo (cfr. Giov. 14,15) ma si libera del peso di vivere per se stesso, diventa un piccolo granello di frumento che cade nel suolo, e, insieme ai suoi fratelli e sorelle, che formano la chiesa universale di Cristo, nel coraggio della fiducia in Dio, contraddice la realtà, con atti di speranza, seminando e cercando di far vedere anche agli altri, quello che lui/lei vede oltre l’orizzonte: la presenza del luminoso futuro di Dio, il sogno di Dio per l’uomo, per cui Egli ha dato tutto, fino a dare Suo Figlio Gesù Cristo per noi.